Salerno: Ricordi dell’ospedale di Cava de’ Tirreni (2°puntata), La mancata aspettativa e la malattia simulata
Dopo alcuni anni di onorato servizio(anche se praticato solo nel fine settimana) il mio studio privato richiedeva oramai una mia presenza costante anche il sabato e la domenica fino alle cinque, per cui decisi, essendomi iscritto, dopo aver conseguito quella in Ginecologia, ad una seconda specializzazione(in Chirurgia Generale) ed avendone pienamente diritto, di chiedere un’aspettativa senza stipendio per due anni.
L’amministrazione oppose un inspiegabile rifiuto, asserendo che la mia collaborazione era indispensabile; un comportamento ingiustificato che solo dopo anni scoprii, dettato da un’antipatia nei miei confronti da parte del direttore amministrativo, il quale sospettava una tresca tra me e la moglie, tra l’altro brutta ed in trombabile(neologismo creato da Berlusconi per indicare il culone della Merkel). Al diniego non mi scomposi più di tanto e diedi appuntamento a dopo 24 mesi:” Se non volete concedermi un’aspettativa senza stipendio, vuol dire che da domani sarò malato e per guarire ci vorranno due anni!”. Scelsi come patologia l’ipertensione arteriosa e cominciai a spedire regolarmente dei certificati mensili. Venni convocato più volte da svariate commissioni mediche, alle quali mi presentavo dopo aver assunto, un’ora prima, una o più dosi di Pressamina, un farmaco capace di innalzare pericolosamente la pressione, che risultava regolarmente e di molto superiore ai valori normali. Dichiaravo inoltre di avere vampate di calore, continui svenimenti ed un’incipiente impotenza. Ricordo che in occasione di uno di questi controlli un membro della commissione bonariamente cercò di convincermi: “Collega ma non pensi di poter riprendere il servizio?”. La mia risposta fu lapidaria:” Si prende lei la responsabilità di affermare che io sono guarito e se poi al pronto soccorso si presenta infortunata la moglie di un camorrista ed io non sono in grado di soccorrerla per una perdita di coscienza?”. Mi diedero altri tre mesi di prognosi ed oramai dovevo superare solo l’ultimo ostacolo costituito da una commissione provinciale, che se avesse riscontrato che la mia patologia era stata contratta durante il lavoro, mi avrebbe proposto un pensionamento anticipato per causa di servizio, a tal punto che interruppi addirittura l’invio di certificati attestanti la mia infermità All’improvviso il mio nome comparve su tutti i giornali per l’attività che svolgevo privatamente e l’ospedale colse la palla al balzo per licenziarmi in tronco. Avrebbe dovuto invece inviarmi un invito a riprendere il lavoro pena decadenza; non lo fece e questo errore costò alla Asl un miliardo di risarcimento. Credo che per conoscere meglio questa vicenda sia utile rileggere questa intervista del giornalista Goffredo Locatelli, pubblicata dal mensile Albatros (luglio 2002) e ripresa parzialmente nei giorni successivi dai quotidiani Il Portico e Il Mattino Il medico che ha sbancato l’ASL
L’azienda ospedaliera lo licenziò e ora gli deve pagare quasi un miliardo. E non è finita… Fu licenziato in tronco nel 1978 mentre era in servizio come ginecologo presso l’ospedale di Cava de’ Tirreni. Motivo: aveva fatto scandalo una sua intervista sull’aborto. Parte da quell’anno una lunghissima controversia giudiziaria per riottenere il posto di lavoro. Che dopo 24 anni, non si è ancora conclusa. Ma c’è un fatto nuovo. Due sentenze del Tar e del Consiglio di Stato hanno stabilito la nullità del licenziamento con relativo reintegro nel posto di lavoro e risarcimento del danno. E che danno! L’esborso degli stipendi non goduti per vent’anni con relativi interessi. Il datore di lavoro ha dovuto sborsare poco meno di un miliardo per risarcire il medico, cioè l’ingiusto licenziato. E la vicenda non si è ancora conclusa perché il dottor della Ragione non si accontenta della somma erogata. Vuole ottenere il doppio. Ma vediamo come stanno le cose.
Dottor della Ragione a che punto è la sua ultradecennale controversia con l’ASL Salerno 1? Si è conclusa solo parzialmente, perché dopo 24 anni di liti giudiziarie ed extra giudiziarie mi sono state liquidate le spettanze come dipendente a tempo definito, mentre il mio rapporto di lavoro con l’ospedale di Cava de’ Tirreni era a tempo pieno.
E qual è la differenza? Una differenza sostanziosa, nel senso che a fronte di più ore di lavoro corrisponde quasi il doppio dello stipendio.
Vogliamo essere più precisi e parlare un po’ di cifre? Certo, il commissario liquidatore dell’USL ha deliberato la somma di 636 milioni e 376mila320 lire per chiudere la mia vicenda, ritenendo così “di evitare ulteriori oneri” (parole testuali del provvedimento) se la stessa fosse proseguita nel tempo. Di questi soldi, 65 milioni sono stati versati agli enti previdenziali ed i restanti 571 al sottoscritto, il quale ha dovuto pagare 26 milioni di oneri pensionistici e 110 milioni di acconto Irpef, senza contare gli onorari degli avvocati difensori che in oltre 20 anni sono ammontati a circa 50 milioni, tutti rigorosamente senza ricevuta, a fronte dei quali la sentenza mi ha riconosciuto appena 800mila lire per spese legali. Mi restano da pagare ancora altre cospicue quote di Irpef, per cui credo mi resterà molto meno della metà di quanto mi è stato dato.
Come si è giunti a queste cifre? Interessi e rivalutazione monetaria hanno inciso per quasi il 70% nel determinare la cifra finale.
Ciò significa che questo ritardo, oltre ad aver danneggiato lei che ha dovuto attendere anni, ha danneggiato anche la collettività, cioè tutti noi, facendo spendere centinaia di milioni inutilmente? Esatto: lo scellerato comportamento dilatorio dell’ASL ha comportato un danno consistente per l’erario e se fossimo un Paese civile ed efficiente, se non la magistratura penale, almeno la Corte dei conti si dovrebbe interessare della vicenda sanzionando severamente i responsabili, colpendoli nel loro portafoglio.
E’ contento che tutto si sia concluso? Non si è concluso proprio niente. Mi è stata riconosciuta solo metà delle mie spettanze, per cui ho già instaurato tramite i miei legali un “giudizio di ottemperanza” per recuperare le altre somme che mi spettano di diritto. E non è finita. Anche quando mi saranno riconosciute tali differenze (si tratta di circa mezzo miliardo, oltre ai contributi previdenziali!) resterà da definire la vicenda riguardante gli anni dopo il 1992, a riguardo della quale, a conferma della proverbiale celerità della giustizia italiana, deve ancora celebrarsi il giudizio di primo grado davanti al Tar di Salerno.
Esiste pure una seconda controversia? Certo, ma vorrei raccontarle tutto da principio. Nel 1977 prestavo servizio come ginecologo presso l’ospedale di Cava de Tirreni. Iscrittomi ad una seconda specializzazione in Chirurgia generale ed attraversando un periodo di salute precaria, chiesi all’amministrazione un periodo di congedo senza retribuzione. Ma la risposta fu negativa: premetto che l’allora direttore amministrativo Enrico Violante, che per inciso è da poco ritornato alla sua scrivania di comando dopo una lunga peregrinante odissea, nutriva e nutre tuttora nei miei riguardi un’implacabile quanto ingiustificata antipatia, che tra l’altro ho sempre ricambiato. Si vociferava che fosse becco e che io avessi collaborato a renderlo tale. Il risultato, per l’impegno di studio e di lavoro, fu l’aggravarsi della mia ipertensione, di conseguenza ci furono lunghi periodi di malattia con congedi sempre decisi dalle commissioni mediche, che più volte mi sottoposero a controlli. Nell’aprile del 1978, mentre in Parlamento si discuteva della legge sull’aborto, concessi al quotidiano La Stampa una intervista choc, nella quale dichiaravo candidamente di aver praticato in due anni 14mila aborti. Sbattuta a nove colonne in prima pagina, la notizia, ripresa con grande risalto da molti quotidiani e televisioni, determinò un’accesa discussione e contribuì non poco all’approvazione in Parlamento di una regolamentazione più moderna della spinosa questione. L’amministrazione dell’Usl, indignata, prese al volo l’occasione per licenziarmi, nonostante fossi ammalato. Seguì l’annullamento del provvedimento prima da parte del Tar e poi del Consiglio di Stato. Non paga, l’Usl imbastì anche un’accusa di truffa davanti al Tribunale di Salerno, procedimento che cadde miseramente e per il quale fui assolto con formula piena.
Perché fece quelle dichiarazioni? Per il mio mai sopito spirito libertario per il quale senza paura mi batto da oltre 30 anni, sprezzante delle gravi conseguenze che spesso ho dovuto sopportare. In quella occasione fece seguito un procedimento penale dal quale uscii assolto dopo anni e subii anche un attentato terroristico da parte delle farneticanti squadracce di “Fede e Libertà”, che fecero saltare in aria la mia Jaguar. Con minacce e intimidazioni, soprattutto provenienti da alto loco, ho oramai imparato a convivere.
Come mai nel 1992 lei fu reintegrato nel servizio? Nel 1990 il Consiglio di Stato confermò la sentenza del Tar, per cui l’ospedale dopo varie tergiversazioni si vide costretto a riassumermi. Risultando io malato per molti anni di ipertensione maligna, quelli dell’ASL richiesero preliminarmente un’approfondita visita fiscale sperando di non dovermi più riammettere in servizio. Invece nel corso della visita i sanitari rimasero meravigliati del mio perfetto stato di salute e ancora più increduli nell’apprendere che tali condizioni erano la conseguenza di un mio pellegrinaggio a Lourdes. Così furono costretti a riprendermi in servizio, ma del risarcimento economico dovutomi non se ne vedeva ombra; l’amministrazione accampava le più diverse scuse per non pagare. Nel frattempo misi in atto una sperimentazione riguardante una metodica per indurre l’aborto con farmaci e non con interventi chirurgici, ottenendo un ampio consenso tra le pazienti che cominciarono ad affluire sempre più numerose anche da comuni lontani. Apriti cielo. La reazione fu violenta, dal primario e dal direttore sanitario fino ai politici e agli amministratori. Il risultato fu un nuovo licenziamento avvenuto mentre, colpito da infarto, mi trovavo ricoverato presso il centro di rianimazione del “Loreto mare” di Napoli. Nasce così la nuova controversia che dopo circa 10 anni è ancora all’inizio.
Dunque è dal 1992 che lei si è attivato per essere rimborsato? Si, e ho tentato tutte le strade: vari giudizi di ottemperanza che si concludevano con un nulla di fatto perché l’ASL, pure in presenza dell’intimazione al pagamento, faceva orecchie da mercante. Ed inoltre pure senza risultato fu la nomina di più di un commissario ad acta, che teneva la pratica in mano per qualche anno, fino a quando, incassato l’onorario, non decadeva dall’incarico. Negli ultimi tempi scoraggiato ma non domo tentai un contatto diretto con l’amministrazione. Macchè, trovai un invalicabile muro di gomma. Mi furono fatte poi alcune sorprendenti proposte, pare dettate da una truffaldina direttiva regionale, di rinunciare ad interessi e rivalutazioni, cioè, nel mio caso ultradecennale, al 70% circa delle spettanze. Trovai indecente una proposta simile, per cui, dopo aver registrato alcune conversazioni telefoniche, ero deciso, confortato dal parere del mio penalista, a presentare denuncia per estorsione. Alla fine desistetti e grazie all’intervento, del tutto disinteressato, di un personaggio galattico sono riuscito anche se parzialmente ad ottenere ciò che per 24 anni mi avevano negato.
Può fare il nome di questa persona che l’ha aiutata a sbloccare la vicenda con l’ASL? Si dice il peccato ma non il peccatore, anche se in questo caso si tratta di un merito e di un meritevole; posso precisare però che non si tratta di un politico. Quale conclusione può trarre oggi dopo tanti anni di ininterrotta battaglia? Dando appuntamento ai figli ed ai nipoti fra qualche decennio per tirare le somme, consiglio a tutti di non cessare mai di lottare per il riconoscimento di un proprio diritto: quanto più irto e difficile è il cammino tanto più bella e gratificante è la vittoria(quando e se arriva) finale. P.S. – In seguito ho ottenuto il restante risarcimento, ma sono ancora in attesa, dopo soli 33 anni dall’inizio della controversia, del trattamento di fine rapporto, alias liquidazione. Achille della Ragione
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