Il seno nella pittura del Settecento |
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Scritto da Achille Della Ragione | |||
Venerdì 19 Maggio 2006 19:25 | |||
Il seno nella pittura del Settecento Il Settecento, dominato dal Rocaille e dal Rococò a differenza del Seicento, secolo delle passioni e del dramma, è nell’Arte ricerca di grazia languida e di raffinatezze formali, di vaporose elegie e di frivoli sentimenti, di evasione dal grigiore della realtà e di fuga nel mondo ideale della mitologia, ma soprattutto di capricciosa gioia di vivere. L’iconografia muta radicalmente e vanno di moda le figure affascinanti e gentili della mitologia. In serie vengono riprodotte Venere, Diana e ninfe varie che, nel pennello degli artisti settecenteschi, diventano pretesto per un’esaltazione della bellezza. Qualche critico bacchettone definì divinità da budoir queste icone di una femminilità adolescente ed acerba, empie di sottile erotismo e di sfacciata provocazione. I seni nati dal pennello degli artisti del secolo dei lumi sono giocosi, sorridenti, senza pensieri, sia che siano veneziani che parigini.Jean Antoine Watteau è un delizioso manipolatore di immagini classiche, che manovra con garbo sottile, venato da struggente malinconia. Seppe interpretare in chiave galante e rococò i miti antichi e fu insuperabile nel creare quelle atmosfere incantate, fatte di toni caldi, scintillanti di luce spruzzata. Innalzò un inno nostalgico alla gioia di vivere e fu per questo caro a romantici come Baudelaire e Verlaine. La sua produzione è un’esaltazione della giovinezza ed un pressante invito a godere della vita, aborrendo lo scorrere del tempo e l’ineludibilità della vecchiaia. La Toilette (fig 1), della collezione Wallace di Londra, eseguita nel 1719, è una deliziosa teletta nella quale una donna dalle forme procaci viene colta nell’atto di togliersi maliziosamente la camicia, mentre una fantesca è pronta a coprirla con una elegante mantella. Si tratta di una signora con la sua cameriera personale oppure, come suppose Boucher, di una maitresse d’un fermier general, in poche parole una direttrice di una casa di appuntamenti? Più prosaicamente si tratta della serva di Watteau, che l’artista, quando passò dai quadri di soggetto mitologico ai nudi in interni, approfittando della sua bellezza, utilizzò come modella. Lo sguardo della fanciulla, tra l’ingenuo e l’ammiccante, non sembra sorpreso dei possibili spettatori, ma anzi cerca di stabilire un legame diretto con l’osservatore coinvolgendolo nell’umido calore del boudoir. La carica erotica che emana dal dipinto è palpabile, ma l’artista non cede mai ad una sensualità volgare o eccessiva e vi riesce perchè fa leva sulla grazia di due seni non aggressivi, due boccioli in fiore, fragranti di un profumo seducente in grado di attirare senza eccitare e di conquistare anche i più indecisi. Seni che mal sopportano di essere imbrigliati in leziosi corsetti, dei quali rifiutano il morso come puledri selvaggi, ansiosi di trottare senza sosta e senza meta, capaci di procurare morbosi desideri di futili piaceri. Francois Boucher fu pittore dotato di straordinaria leggerezza di tocco ed amava dipingere cose gradevoli, graziose e divertenti, con una cromia fragrante ed una poetica della natura morbida e sensuale. La benevolenza della marchesa di Pompadour, della quale sapeva blandire molto abilmente le inclinazioni, certamente lo favorì, ma il segreto del suo successo era nel suo pennello, abile ed energico ed in grado di creare scenette deliziose ed accattivanti. Poeta della bellezza femminile ha reso immortali diafane fanciulle, dall’incarnato bianco latteo, adagiate in pose aggraziate e provocanti tra lo scintillare di trine, rasi e sete preziose, ma sempre rigorosamente nude ed eccitanti. Ebbe rapidità di tocco, straordinario estro decorativo, eleganza di forme, una tavolozza calda e scintillante, una rara abilità a rendere audace e piccante ogni centimetro quadrato del corpo delle sue giovanissime modelle. Seppe suscitare nell’osservatore dei suoi dipinti, richiesti da una società dai gusti raffinati, il piacere di soffermarsi per il gusto di assaporare il bello. La Diana al bagno (fig. 2), eseguita nel 1742 ed oggi al Louvre, è certamente il suo dipinto più sensuale, per la delicatezza del soggetto e per l’incarnato perlaceo delle fanciulle che abbaglia l’osservatore. Diana era una vergine cacciatrice, che prediligeva la compagnia delle sue ninfe e disdegnava gli uomini. Amava la solitudine dei boschi, dove poteva bagnarsi nelle fonti e trarre diletto dalla freschezza dell’acqua. L’artista la riprende nella sua intrigante nudità, esaltata da una sinfonia di colori tenui dal rosa all’arancio, fino al giallo pallido, mentre siede, adorna solo di un diadema, su un prezioso tessuto azzurro presso la riva di un fiume. I seni che possiamo ammirare incantati sono classici seni francesi, delicati come il grappolo col quale si fa lo champagne e della forma della coppa dove si liba la celebre bevanda. Sono piccoli ma alteri e meritano di essere guardati con delicatezza, perchè così fragili da potersi rovinare anche solo per la lunga contemplazione. Jean Honoré Fragonard è il protagonista del filone erotico della pittura francese tra tardo Barocco e Rococò, l’ultimo grande protagonista del Settecento rocaille. Sollecitato da un potente impulso creativo fu molto prolifico ed i suoi dipinti sono intrisi dalla gioia del piacere ed in questo fu degno interprete della società di Luigi XV. Egli gioiosamente esalta il nudo femminile, proponendolo in numerose e felicissime variazioni. Le Bagnanti (fig. 3) del Louvre, probabilmente eseguito nel 1777 e ritirato dal Salon dallo stesso autore, rappresenta un tardo esempio di pittura gaia e fosforescente, alla maniera di Boucher e dove palpabile, sia nella cromia che nella scenografia, è l’influsso di Rubens. Un empito di vita gaia e sorridente, una calda e dinamica vitalità si sprigiona sia dalle figure che dal paesaggio. Il fruscio delle frasche in un boschetto compiacente e l’emozione intrigante di un incontro tra donne nude, sono elementi che l’autore coniuga felicemente, imprimendo alla composizione spunti di seduzione molto spinti con gustosa partecipazione, facendo respirare una sensazione del tutto nuova di libertà dalle inibizioni e di ardita spregiudicatezza nella scelta delle situazioni. Una pittura vibrante, rapida e luminosa che esalta la labilità dell’attimo fuggente. I seni delle fanciulle bagnanti di Fragonard sono costituiti di materia fragrante fino all’evanescenza, sono vivaci, allegri, spiritosi e soprattutto fremono di un sano erotismo che dà la gioia di vivere. Anton Raphael Mengs, pittore tedesco, fu acclamato in tutta Europa come il maggior esponente del Neoclassicismo, che nasce in pittura nel 1761, quando l’artista a Villa Albani realizza un affresco: il Parnaso. L’artista rinnegò la tradizione del Barocco e del Rococò ed attraverso lo studio dell’antichità e di Raffaello, diede luogo a composizioni di nobile e magnificente semplicità, rese con colori chiari e brillanti. Il giudizio di Paride (fig.4), conservato all’Ermitage, fu pagato una cifra molto alta dall’imperatrice Caterina II, che amava molto il Neoclassicismo. Il Mengs rivisita l’episodio mitologico, già ampiamente trattato in pittura nei secoli precedenti, e ne dà una lettura, nell’anatomia dei corpi nudi rigorosamente settecentesca e neoclassica. La storia e tra le più note: Paride, principe troiano, è scelto per decidere chi sia la più bella tra le dee. Partecipano al concorso, sventurato antenato della miriade di selezioni di miss che sono giunte ai nostri giorni, Atena dea della guerra che promette la gloria militare, Era, madre degli dei che lusinga Paride offrendogli il potere ed infine Venere, dea dell’amore, accompagnata dal figlioletto Eros, che più prosaicamente gli assicurare la donna più bella del mondo: Elena, moglie di Menelao. Paride non avrà dubbi e scegliendo di possedere la giovane, scatenerà la disastrosa guerra di Troia. I corpi nudi delle dee non hanno niente dell’esuberanza barocca, né sono in preda alle passioni, come le hanno dipinte i pittori seicenteschi, bensì somigliano, nella loro solennità, alle più celebri statue greco romane o alle opere di Raffaello. I gesti sono composti, i volti idealizzati, le anatomie perfette e luminose e si dispongono con grazia al centro della composizione. Nel rivisitare il famoso episodio mitologico l’artista dà l’impressione di aver voluto dividere i corpi nudi delle splendide dee in due classi, seguendo e semplificando alcune elucubrazioni degli psicanalisti, i quali hanno diviso gli uomini in ciuccioni, che inseguono per tutta la vita il seno delle donne, per rammentarsi del seno della mamma e feticisti, adoratori più o meno espliciti del sedere, quale fonte di piaceri raffinati. Nel dipinto Venere capitanerebbe le donne vessillifere del seno quale seduzione primaria e la sua vittoria nella contesa è quanto mai significativa, Atena lega le sue chances ad un posteriore da sogno, mentre Era, posta al centro delle due bellicose colleghe, sembra sperare nell’equilibrio di giuste aspettative da parte delle due categorie di utenti, che gli studiosi ci riferiscono equamente distribuite. Nel Settecento la scultura vive un momento di aumentato interesse e di maggiore autonomia, dopo che nel Seicento spesso era stata subordinata all’architettura ed alla pittura. Infatti nel Seicento spesso gli scultori erano chiamati a completare i grandi palazzi con l’inserimento di fontane o gruppi statuari nei giardini, oppure, negli interni dovevano armonizzarsi con i grandi e complessi cicli pittorici, mentre nel nuovo secolo, diminuendo la superficie delle dimore, anche nobiliari, al grandioso si sostituisce il gusto per il piccolo ed il raffinato. Etienne Maurice Falconet fu scultore caro a Madame de Pompadour, della quale ha immortalato il leggendario corpo in un marmo (fig.5) conservato a Londra nella National Gallery. La sua produzione giovanile è baroccheggiante, poi il suo stile evolve verso una grazia elegante e raffinata in consonanza con i gusti dell’epoca e le sue opere più celebri appartengono a questo periodo, tutte marcate da una morbida idealizzazione del corpo femminile, coniugata ad una voluttuosità più o meno appariscente. Nel marmo della sua protettrice la Pompadour è rappresentata nelle vesti di Venere e mentre il corpo è tenuemente idealizzato, il volto, espressivo, reca le tracce di un’acuta analisi psicologica e nonostante la rivisitazione mitologica resta un vero e proprio ritratto. Attraverso questo lavoro del Falconet veniamo a conoscenza del seno della famosa primadonna della corte francese, alla quale dobbiamo, oltre all’invenzione dei tacchi (era alta solo 154 centimetri) alcune acute e salaci definizioni di come debba essere un seno perfetto. La Pompadour era del parere che il seno ideale dovesse entrare in una coppa di champagne oppure, forse più opportunamente, avere le stesse dimensioni della mano dell’uomo che deve accarezzarlo. Nel vedere il suo seno immortalato nel gelido marmo, constatiamo che il seno ideale era il suo e non possiamo darle torto, visto che è riuscito a stregare i più potenti uomini del suo tempo, i quali impazzivano dal desiderio al solo pensiero di poterlo immaginare. Ed il Falconet, che dovette ritrarlo, avvertì tutta l’inutilità del processo di idealizzazione alla ricerca di una forma perfetta, perchè ciò che tutti gli artisti cercano da sempre si trovava davanti ai suoi occhi risolto, definitivamente, in maniera inimitabile. Augustin Pajou, raffinato scultore francese, pieno di una leziosità tutta settecentesca, è attivo negli anni di trapasso tra rococò e neoclassicismo e conserva la grazia languida del primo, mentre nella scelta del tema mitologico già aderisce al secondo. La sua opera più famosa è la Psiche abbandonata (fig. 6), eseguita nel 1790 e conservata al Louvre, che raffigura una fanciulla languida ed impaurita resa con sottile, morbida sensualità. I detrattori inizialmente la considerarono indecente per il pianto, che lasciava trasparire la sentimentalità teatrale tipica delle opere di Rousseau e per la nudità chiaramente attribuibile ad una qualunque modella parigina priva di mitologica grazia, ma in seguito tutta la critica è stata unanime nel riconoscerla straordinaria. Psiche, figlia di un re, era di devastante bellezza, tanto da scatenare le ire di Venere, dea dell’amore, la quale ordinò ad Eros, suo figlio, di farla divenire brutta, ma il giovane disobbedì e trasferì la fanciulla lontano in un castello meraviglioso, dove tutte le notti godeva delle sue grazie. Tutte le favole finiscono ed anche l’idillio tra Eros e Psiche ebbe fine, tre le lacrime disperate della giovinetta che Pajou ha fissato per l’eternità nella rigidità del marmo. I seni di Psiche sono fatti di un marmo, carnoso, ricco, trasparente che li fa tersi e puri. Come è difficile non contravvenire al severo divieto nei musei di non poter toccare le statue e provare con mano la rigidità della materia impassibile, archetipo di forme immortali, che non si deformano, non avvizziscono e sfidano lo scorrere del tempo, permettendo di godere con la vista e correre con la fantasia. A pochi è concesso il privilegio di vivere in eterno nella memoria degli altri, per i seni di Psiche è invece normale sfidare i secoli, dando gioia e diletto a più generazioni, fino a quando tra gli uomini sarà vivo il gusto per il bello. Francisco Goya ha un posto di rilievo nell’ Empireo dei grandi pittori di tutti i tempi. Dotato di fantasia smisurata, notevole abilità e tecnica eccellente, fu per la robustezza del colore, per la vivacità del disegno, per l’incisività del tratto e per la spietata introspezione psicologica nei ritratti, il più grande precursore della pittura moderna. Pittore ufficiale di Corte, eseguì ritratti del re, della regina e della nobiltà, marcati da un’ironia più che palpabile, misconosciuta all’epoca, ma che oggi sembra sfacciata ed insolente. Il secolo trova un’esaltante conclusione nella sua opera più famosa la Maja desnuda (fig.7), uno dei più celebri dipinti della storia dell’arte. Realizzato in coppia con la tela gemella vestita, raffigura, mollemente adagiata su un divano, nella stessa seducente positura, la stessa modella, sia nuda che in abiti eleganti. Il committente è sconosciuto, anche se alcuni elementi sembrano indicarlo nella duchessa d’Alba, presso la quale il Goya soggiornò nel 1797 e, tenuto conto delle voci che li indicavano legati da affettuosa amicizia…, vogliamo immaginare che la nobildonna abbia chiesto al pennello del suo amante di trasferire il suo splendido corpo dalla caducità della giovinezza all’immortalità della tela. La spettacolare forza dirompente del dipinto risiede nell’assenza di qualsiasi allegoria, travestimento mitologico o pretesto religioso. La fanciulla senza nessun accessorio, sia pure un fiore o una collana fa spettacolo, orgogliosa delle sue forme prosperose e guarda spavaldamente negli occhi lo spettatore, che sembra invitato a godere di questo paradiso di forme, tra le quali spicca il seno, sapientemente evidenziato dall’ardita posa delle braccia all’indietro, che esalta e dà il massimo rilievo alle due magnifiche mammelle toniche e straripanti. La vita snella accentua i seni spaziosi con una valle che li divide, sembra quasi che siano in concorrenza tra di loro, a catturare l’attenzione, l’opposto di quando lo spazio vitale viene conteso dalla prorompenza e ad ogni minimo contatto sprizzano scintille. Una tale audacia rappresentativa non poteva passare inosservata, infatti l’Inquisizione nel 1814 convocò il Goya ed ordinò la distruzione del quadro, evento fortunatamente non verificatosi. Ed i tempi a noi vicini negli anni Trenta del Novecento non dell’Ottocento, quando le poste spagnole trasformarono la Maja desnuda in un francobollo, gli Stati Uniti restituivano al mittente la corrispondenza affrancata in maniera così sconveniente, sicuri di preservare in tal modo la morale dei cittadini di quella grande nazione, da sempre faro di libera circolazione di idee e di democrazia… Achille della Ragione Chi vuole consultare il libro Il seno nell’arte dall’antichità al Settecento, con oltre 100 foto, può andare sul sito dell’autore www.guidecampania.com/dellaragione
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Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Marzo 2009 17:06 |