Mostra su Antonello da Messina |
NapoliNews - Arte | |||
Scritto da Achille Della Ragione | |||
Lunedì 20 Marzo 2006 18:59 | |||
Mostra su Antonello da Messina Le Scuderie del Quirinale a Roma si possono ben fregiare del fiore all’occhiello, in quanto ospitano una rassegna quasi esaustiva della summa pittorica di Antonello da Messina, una figura artistica di ampio respiro internazionale per la centralità indiscussa nel panorama del Rinascimento europeo. “Antonellus messaneus me pinxit” recitano alcuni cartigli, curiosamente dipinti secondo la prospettiva del tempo, da sembrare appena spiegati, vedi il Ritratto di giovane di Torino (fig. 2). Essi risultano affissi sul bordo inferiore di legno, che funge da parapetto, dove si affaccia il personaggio verso lo spettatore con tutta la sua monumentalità, nonostante il piccolissimo formato di tutti questi quadri. Come un gomitolo si dipana il rapporto con la sua terra natale, affiorando qua e là, nei paesaggi intrisi di un nuovo naturalismo, tangibile nell’impianto della Crocifissione di Bucarest (fig. 3) sullo sfondo della sua città, una Messina irriconoscibile oggi, dove a destra dell’osservatore c’è il porto, a sinistra i monti Peloritani e più lontano le isole Eolie. E ancora sono profondamente siciliani molti volti rappresentati, dai tratti fisici scuri alle espressioni di sapore mediterraneo, vedi la Madonna di Salting (fig.4) o la stessa Annunziata di Palermo, fino a quel pizzico di ironia scherzosa tipicamente isolana, palpabile nel sorriso beffardo del Ritratto di Cefalù. Un lungo tempo ci separa dalla vita di Antonello e i racconti su di lui sono stati leggendari in passato, anche se ci hanno fornito delle indicazioni importanti. A meno di cento anni dalla sua morte, il Summonte prima e il Vasari dopo riferiscono di un suo viaggio nelle Fiandre per apprendere direttamente dal pittore Jan van Eyck la pittura ad olio, mentre tale circostanza non risulta da nessun documento. La loro testimonianza tuttavia non è trascurabile per l’evidente influsso dell’arte fiamminga sul Nostro, mutuata dall’insegnamento del pittore Colantonio, presso la cui bottega, a Napoli, avvenne la sua prima formazione. La nuova tecnica di esecuzione pittorica, esplicata attraverso vari strati di velature, veniva a sostituire la tradizionale tempera ad acqua. Il giovane siciliano fu affascinato dalla lucentezza metallica che grazie alla nuova maniera poteva imprimere ai panneggi femminili. Li aveva visti in quei sontuosi mantelli delle clarisse nel quadro del suo maestro “San Francesco consegna la regola al primo e secondo ordine francescano ” e li ripeterà nel gruppo di donne ai piedi della croce nel dipinto in mostra proveniente da Bucarest e ancora nel manto della già citata Madonna di Salting. Se guardiamo invece il capolavoro della maturità dell’artista messinese, i nostri occhi stupiscono di fronte all’azzurro del manto più famoso della storia dell’arte, quello della Vergine Annunziata di Palermo: la perla della esposizione romana (fig. 5). Una luce intensa mette a nudo il volto nitido e perfetto, mentre avvolge di un lirismo misterioso la morbida solennità della Madonna. La mano nel classico gesto di sorpresa verso l’annuncio da parte di un messaggero assente, ne immobilizza l’incanto e la dolcezza. Sconvolge il distacco dalle cose terrene, percepibile nel gioco squisitamente geometrico delle linee e delle forme. Dopo uno sguardo di qualche secondo anche noi siamo rapiti da quell’aura di quiete assoluta. Dopo la leggenda, la storia e bisogna arrivare agli studi sistematici successivi, quelli eseguiti da Venturi, Berenson e Roberto Longhi, che fin dal 1914 vide il forte legame tra Antonello e Piero della Francesca per quella costruzione spaziale prospettica che una volta acquisita segnerà la sua cifra stilistica. L’incontro con l’aretino avviene nel 1460 a Roma, ma è Venezia la città che cambierà definitivamente i suoi modi pittorici. La conoscenza di Giovanni Bellini arricchirà la sua arte di una luce cromatica nuova e allo stesso tempo modificherà la pittura veneta con nuovi apporti fiammingo provenzali provenienti dalla corte aragonese napoletana, frammisti a tocchi suoi personali naturalistici e mediterranei. Eccezionale è il San Sebastiano di Dresda (fig. 6), in cui l’azzurro del cielo e la portentosa luminosità di derivazione belliniana, che pervade tutta l’opera, si sposa armonicamente con l’architettura ideale di un città gioiosa, il cui referente è Piero della Francesca. La figura del giovane alto e bello così centrale e protagonista, rappresentata con uno straordinario sotto in su, rimanda all’iconografia del Mantegna, anche se, elementi come la corteccia dell’albero o i capelli e l’impronta totale sono decisamente antonelliani. “Il San Sebastiano è una meravigliosa statua ellenistica. La carne del santo è di pietra; le gambe si appoggiano con grazia squisita sul terreno…” secondo il parere di Pietro Citati. Dulcis in fundo (fig. 7) il San Girolamo nello studio (National Gallery, Londra) è proprio l’opera che nell’allestimento della mostra romana introduce il percorso espositivo. In quella che sembra una chiesa gotica, scura, illuminata controluce da finestre che danno su paesaggi lontani è insolitamente posto lo studiolo di San Girolamo nella sua veste cardinalizia intento alla lettura. Ma il quadro ha un’altra fonte luminosa, quella che illumina l’ingresso e la figura del saggio, in modo tale che colui che guarda possa penetrare attraverso i varchi prospettici e percepire la monumentalità del luogo, un luogo spirituale quello al di là della porta, mentre è terreno l’al di qua. Il limite è segnato dalla presenza di tre simboli (un pavone, una pernice e una ciotola da barbiere) poste come sentinelle di guardia. Un omaggio al suo maestro, il Colantonio che aveva trattato lo stesso tema, anche qui c’è il leone, sempre ugualmente mansueto, ma non porge la zampa come nel quadro di Capodimonte, bensì dalle tenebre della chiesa si porta verso la luce del santo. Il capolavoro sembra esprimere il connubio perfetto tra un virtuosismo luministico e un gioco di geometrie spaziali di altissima precisione. Se l’origine è fiamminga, la resa di Antonello sulla piccola superficie ha raggiunto un valore incommensurabile. L’opera per molto tempo fu creduta di altra mano, del Memling e di van Eyck. Settanta anni fa dal Lauts l’attribuzione fu restituita al Nostro per la presenza dei due oggetti in ceramica posti tra il gatto e gli scalini sulla pedana del santo riscontrati uguali nell’Annunciazione di Siracusa. Con questa opera si riassume il nuovo pensiero umanistico, che ritiene la conoscenza la vera ricchezza, ad esso Antonello da Messina, il massimo artista meridionale di quel tempo ha dato un notevole contributo. La visita alla mostra su Antonello costituisce la 36° tappa del percorso degli Amici delle chiese napoletane e per chi vorrà partecipare con la guida dell’autrice può consultare le date sul sito dell’associazione.
|
|||
Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Marzo 2009 18:08 |