Agostino Tassi un artista dall’afrore partenopeo |
NapoliNews - Arte | |||
Scritto da Achille Della Ragione | |||
Domenica 12 Ottobre 2008 12:59 | |||
Agostino Tassi un artista dall’afrore partenopeo Debiti e crediti verso i pittori minori del secolo d’oro napoletano Di recente la figura di Agostino Tassi è balzata agli onori delle cronache ed è stata prepotentemente associata a quella di Artemisia Gentileschi, grazie a film e libri che hanno rammentato il famigerato episodio di violenza carnale per il quale il pittore ebbe un’esemplare condanna. L’artista nel suo piccolo avrebbe ben più titoli del grande Caravaggio per fregiarsi del titolo di pittore maledetto, infatti le sue malefatte, dalle risse alle truffe con relative condanne e fughe precipitose non si contano e sono state evidenziate dai suoi biografi, ma non bisogna dimenticare i suoi meriti. Egli fu molto richiesto dai più importanti committenti romani, principalmente per decorare ad affresco le pareti dei loro palazzi. Egli possedeva un grande talento nel dilatare o restringere i confini di un ambiente attraverso artifici illusionistici, con architetture fantastiche o con i suoi ben rifiniti paesaggi, nei quali altri artisti, spesso famosi, incasellavano figure di personaggi. Venne a contatto con culture di varie nazionalità e subì la suggestione dei nordici., che conosceva anche tramite incisioni. Fu abile nel paesaggio come nelle vedute cittadine e nei capricci architettonici. Molte sono le sue tele con tempeste marine all’epoca molto ricercate. La sua bottega fu molto affollata e tra i suoi allievi vi fu il celebre Claude Lorrain. Nel Battesimo di Cristo (fig. 1), eseguito intorno al 1610, vediamo un’iconografia cara a Filippo Napoletano ed una chiara ispirazione nella definizione del fogliame dagli esempi della pittura nordica, in particolare dalle opere di Paul Bril (autore a Napoli delle decorazioni nel chiostro della chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli) e di Adam Elsheimer, mentre dalla Negazione di San Pietro in un porticato (fig. 2), collocabile al 1613 circa, prenderà ispirazione Viviano Codazzi per definire la parte architettonica dell’Interno di carcere (Micco Spadaro, pag. 105, n. 35, Napoli 2002), eseguito nel 1643 in collaborazione con Domenico Gargiulo e conservato in una collezione privata napoletana. Il pittore bergamasco, a lungo residente nel viceregno, guarderà con attenzione anche all’Imbarco della regina di Saba (fig. 3) del 1617 e ne riproporrà letteralmente le architetture in primo piano e sullo sfondo nel Ginnasio romano, una splendida anche se poco nota tela eseguita col Gargiulo, di proprietà del Prado e collocata nella residenza dell’ambasciatore spagnolo a Bruxelles. La Marina con personaggi intorno ad un fuoco (fig. 4), di collezione privata romana, è stata a lungo assegnata dal Salerno a Filippo Napoletano e solo di recente la critica ha stabilito di espungerla dal catalogo e attribuirla al Tassi. Rapporti di stretta contiguità con Filippo Napoletano possiamo riscontrarli anche nella Scena costiera con pescatori (fig. 5) eseguito probabilmente dopo il 1622 e nella quale l’atmosfera luminosa ed il forte contrasto tra luce ed ombra richiama a viva voce lo stile del pittore prediletto del granduca Cosimo II. I prelievi da Francois De Nomè,in parte già evidenziati da Maria Rosaria Nappi, sono tangibili in varie tele del Tassi, come nell’Imbarco di S. Elena (fig. 6), dove le fantastiche architetture in secondo piano ricordano quelle del lorenese o nel Capriccio architettonico con porto mediterraneo (fig. 7), nel quale lo sfondo del dipinto riprende quasi integralmente quello della Leggenda di S. Agostino del De Nomè, oggi nella collezione Croft Murray a Richmond. Anche nel Battesimo di Cristo (fig. 8), eseguito nel 1633, vi è un prelievo letterale: la figura del dio Padre accompagnato dagli angeli, una rara iconografia desunta dalla Visione di una santa, un dipinto del De Nomè, che esercitò un fascino particolare sul Tassi a partire dagli anni Venti. La Pesca miracolosa (fig. 9) proviene dal mercato antiquariale napoletano, dove era attribuita in maniera calzante a Schonfeld, a lungo attivo nella capitale vicereale, noto principalmente per le scene di martirio, che lo fanno quasi un gemello di Micco Spadaro. L’atmosfera onirica e surreale presente in tanti dipinti del pittore svevo e le nuvole minacciose sono un ulteriore elemento di raffronto, mentre il suggestivo volo d’anatre e l’airone in primo piano potrebbero essere opera di uno specialista. Poussin è il nume ispiratore del Tancredi al sepolcro di Clorinda (fig. 10), collocabile intorno al 1635. Dal francese prenderanno ispirazione molti pittori napoletani, tra cui Micco Spadaro, prelevando a volte con precisione i suoi monumenti e cercando di imitare il suo paesaggio, attento ad un’accurata definizione del fogliame. Una vera sorpresa è l’Arrivo di Cleopatra a Tarso (fig. 11), una splendida tela collocabile al 1636-37, delle Galerie Canesso di Parigi, nella quale Veronique Damian intravede nel paesaggio le influenze della tarda maniera bolognese senza segnalare alcune patognomoniche caratteristiche dello stile di Scipione Compagno, in particolare il modo di raggruppare la folla di personaggi sia in primo piano che sullo sfondo con le teste allineate a seguire una linea ideale, i personaggi posizionati sugli alberi ad ammirare la scena, le originali tende di sapore orientale, mentre domina un cielo terso e luminoso prettamente partenopeo; tutte similitudini che possono osservarsi nell’Entrata di Cristo in Gerusalemme (fig. 11 bis) di collezione della Ragione. Se non fosse per la grazia manierata delle figure che danzano sulla nave, quasi eteree, si potrebbe ipotizzare di assegnare al pittore napoletano la tela. L’Incendio notturno di un città (fig. 12) presenta dei rapporti di contiguità strettissimi non solo con l’Inferno di Filippo Napoletano, ma soprattutto con le tele di Cornelio Brusco, un artista poco noto alla critica, ma del quale si conoscono alcuni dipinti dai quali la parte centrale della tela in esame prende con certezza ispirazione. Infine nella Fuga di Lot da Sodoma (fig. 13), del 1639, oltre alle architetture sulla destra che derivano dal De Nomè le figure centrali, dall’Angelo a Lot e le figlie, sembrano eseguite da Agostino Beltrano. Il dipinto, di rara suggestione, è dominato da un chiarore lunare da apocalisse, illuminato dalle fiamme che in lontananza divorano la città maledetta, mentre i personaggi sono definiti con colori sgargianti, che contrastano con l’atmosfera cupa di tragedia.
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 11 Marzo 2009 21:47 |