Francesco Furini in mostra |
NapoliNews - Arte | |||
Scritto da Achille Della Ragione | |||
Domenica 30 Dicembre 2007 23:38 | |||
Francesco Furini in mostra Uno squisito cantore delle grazie muliebri Egli fu anche amante del verso licenzioso e scrisse numerosi sonetti inneggianti al compiaciuto vagheggiamento dell’ideale femminile, l’armonia delle forme anatomiche e lo scatenarsi repentino delle passioni. Il cammino artistico del Furini ebbe un’impennata con il trasferimento, appena sedicenne, dalla natia Toscana alla città eterna, dove subirà la fascinazione della pittura caravaggesca, per ripiegare poi verso il pollone dell’antichità classica, l’idealizzazione del Rinascimento ed il messaggio di languida dolcezza di Guido Reni. Tornerà poi per un periodo di nuovo a Firenze, dove riuscirà ad avere importanti committenti, tra i quali lo stesso Galileo Galilei, che lo tenne a stipendio ed in onore del quale, nella pala d’altare dedicata all’Assunzione della Vergine, delineerà una luna pallida e colma di orridi crateri, un deverente omaggio alle scoperte astronomiche del celebre scienziato. La fama del pittore è legata ai suoi raffinati quadri da cavalletto nei quali ritrasse di preferenza intriganti nudi femminili che fredde luci azzurrine, teneramente modulate da delicati chiaroscuri, fanno emergere con sensuale eleganza dalle ombre degli sfondi. Meno felice fu invece la sua attività di frescante, per la quale era pur richiesto da numerosi committenti e come tutti i maestri toscani del Seicento fu un perfetto disegnatore, nel segno della migliore tradizione fiorentina. Fu cultore della bellezza femminile sottolineata da una preziosa scelta di sfumati bruni e lividi e di toni oltremarini diffusi nelle carni e nei lumi a creare incanti di fosforescenze lunari, che evidenziano morbosamente le forme falcate dei corpi. Deve la sua fama ai soggetti mitologici, come l’Andromeda(fig. 1) della Galleria Corsini, felice sintesi tra l’accesa prepotenza visiva delle dolci forme anatomiche raggelate da un lavacro purificatore di classicismo e l’ideale del pittore, strenuo esaltatore di un erotismo soffuso e venato di malinconia e mistero; Ila e le ninfe (fig. 2)degli Uffizi, dove il pretesto della favola è utilizzato per carezzare con lo sguardo procaci e opulente bellezze in pose che accentuano il rimpianto di una classica serenità permeata dalle tenebre di argentei sfavillii, o biblici, come Loth e le figlie (fig. 3) del Prado, nel quale un fiotto di luce lunare sfiora i corpi nudi delle figlie del vegliardo, teneramente modellati dal delicato chiaroscuro che li fa emergere imperiosamente dall’ombra. L’esecuzione di questi quadri animati da giovani fanciulle, miracolosamente in bilico tra vivida carnalità e distillata purezza formale, gli permetteva di mettere in posa, nude, modelle bellissime, una passione che lo perseguiterà per tutta la sua breve vita e della quale parlano diffusamente i suoi biografi, come il Baldinucci, il quale ci rammenta ”per spogliar le femmine che in tanto pericolo ponevano la sua anima, oltrechè per procurarsi il costoso azzurro oltremarino di cui era particolarmente vago, spendeva prodigalmente” e lo stesso pittore confesserà la sua passione in 11 lettere dai passi significativi: “le belle non vogliono spogliarsi, le brutte non sono il caso” oppure “maggior mortificazione quanto della difficultà di trovare una donna che stia al naturale”. Ed è scavando in questi suoi scritti che possiamo cercare una traccia per scandagliare la sua anima tormentata dal dubbio, dalla passione repressa e dal peccato, più desiderato che attuato. Egli dopo la sua improvvisa vocazione, divenuto prete, fu destinato in una dimenticata pieve in Sant’Ansano nel Mugello, dove gli sarà capitato di eccitarsi ascoltando le imbarazzate confessioni delle contadinotte, che chiedevano la penitenza per qualche ruspante avventura cornificatrice. Trasferitosi nella città santa, all’epoca percorsa da una devastante corruzione dei costumi, ha ripreso a dipingere, richiestissimo, donne nude segnate da un fascino morboso, l’opposto dei canoni classici incapaci di indurre in tentazione, mentre le sue fanciulle vibranti di sensualità e desiderio sprigionano un afrore penetrante di voluttà, riverberato da un cromatismo lunare ottenuto con una tempesta di prezioso lapislazzulo. Un tema iconografico che a lungo l’ossessionò fu quello della Maddalena (fig. 4), replicato all’infinito, sempre ritratta con la bocca ansimante di desiderio e gli occhi all’insù, preda di un estasi tanto intensa da sconfinare nell’orgasmo. Talune volte raggiunge una tastiera sentimentale di sconvolgente romanticismo, come nella Santa Lucia (fig. 5) della Galleria Spada, una piccola tela nella quale la martire ha il volto nascosto pudicamente nell’ombra, a stento penetrata da un bagliore di luce che ci permette di scorgere la coppa vitrea con il lucore surreale degli occhi ormai senza vita, mentre la luce, calda ed impalpabile, indugia sulla sua pelle madreperlacea, sulla sua chioma castana dai morbidi capelli, che discendono solenni lungo il collo di un nitore alabastrino. Fino ad oggi Furini ha goduto di scarsa attenzione da parte della critica, basta sfogliare qualsiasi manuale di storia dell’arte per avvedersene, pochi righi e al massimo una foto. La mostra di Firenze sicuramente permetterà di apprezzarlo come merita la sua pittura che trova ospitalità nei più famosi musei dal pianeta, dagli Uffizi al Prado, dall’Hermitage alla StaatsGallerie. Classicista affascinato dal chiaro scuro caravaggesco fu latore di uno sfumato ben diverso, derivante in egual misura dalla antica lezione leonardesca e dalle istanze di Andrea del Sarto e del Pontormo. Un addensare le ombre dolcemente, accarezzando i margini delle figure, ingentilite da riflessi azzurini in grado di far brillare in maniera stupefacente il biancore degli incarnati.
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Ultimo aggiornamento Giovedì 12 Marzo 2009 16:40 |