L’intelligente, acuta, caustica voce di Napoli |
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Scritto da Achille Della Ragione | |||
Venerdì 22 Dicembre 2006 12:04 | |||
L’intelligente, acuta, caustica voce di Napoli Narratore, poeta, giornalista Luigi Compagnone è stato sempre uno scrittore errante fra poesia e romanzo, conservando la stessa carica di aggressività di quando era giovane e la causticità, senza dubbio il carattere dominante della sua personalità. Se lo sdegno e l’ira possono essere considerati un metro per valutare la vivacità intellettuale, si può ben dire che quella di Compagnone è stata per lunghi anni all’apogeo. L’Ortese nel suo libro volle colpire come bersaglio privilegiato una piccola compagnia di intellettuali napoletani, quelli che avevano fondato tra il 1945 ed il 1947 la mitica rivista «Sud». Per loro ella intonava una sorta di elogio del fallimento, ma del noto furore che domina la nostra città Compagnone è eletto quasi a simbolo. La scrittrice non riconosce più in lui il giovane affascinante che aveva conosciuto (e del quale era forse stata innamorata). Il suo camminare le ricorda un volatile stanco, il suo sorriso è astratto e morto ed assume un’assonnata disperazione da sconfitto. A distanza di 40 anni l’occasione di una ristampa del libro della Ortese ha risvegliato antichi furori a Napoli, una città fedele alla inimicizia. L’Ortese con l’illusione interiore di gettare acqua sul fuoco degli antichi sdegni ha solamente riacceso l’invettiva di Compagnone che le si è scagliato contro con la sua proverbiale ira funesta controbattendo che il libro della scrittrice testimonia soltanto ribrezzo e paura per la città ritenuta in rovina, la quale invece se trova parole per far parlare di se vuol dire che non è morta. Alla voce indignata di Compagnone si sono unite quelle di altri napoletani doc tra cui Franco Rosi che ha ribadito «La litigiosità rientra nell’umore della nostra gente. C’è nell’aria una provocazione continua. Siamo in troppi ad essere creativi nelle cinta... Napoli è sterminata, ma lo spazio per conviverci tutti in pace risulta troppo stretto». Del periodo di Sud e delle frequentazioni di casa Prunas Compagnone si ricorda volentieri di un aneddoto riguardante la contessa Prunas, la madre di Pasquale, il proprietario della rivista, la quale temeva, si era nel 1952, una vittoria comunista alle elezioni. Ella ebbe un’idea brillante di prezzolare un tranviere, categoria considerata a Napoli il massimo del bolscevismo e fattolo installare nella sua casa di Monte di Dio, lo convinse a proclamare di aver visto la Madonna. Popolane e signore alto borghesi accorsero in pellegrinaggio a casa Prunas, ma ci fu un traditore, il quale scrisse la verità su di una rivista milanese in un articolo ilare intitolato «Il miracolo della contessa». L’autore della delazione era lo stesso Pasquale Prunas, primogenito della casata! Nel 1972 ebbi il piacere di conoscere personalmente Luigi Compagnone, grazie al figlio Massimo, valente psicanalista freudiano, di cui sono fraterno amico da tempo immemorabile. Dovevo completare la mia preparazione in vista della partecipazione a «Rischiatutto» la nota trasmissione televisiva di Mike Bongiorno e la materia principale in cui mi presentavo era costituita dai Premi Nobel. Per approfondire gli autori che avevano avuto tale riconoscimento per la letteratura consultai la vastissima biblioteca dello scrittore, che mi meravigliò per l’elevato numero di libri e per il perfetto stato di conservazione degli stessi che apparivano come nuovi. Lo scrittore, all’epoca abitava in una splendida villa immersa nel verde a Posillipo, e tutte le pareti del grande salone erano piene di volumi e riviste, quasi tutti di letteratura. Compagnone mi confessò che i libri, molte migliaia, erano nuovi, nonostante li avesse consultati quasi tutti, perché era sua abitudine comperare sempre due copie, una per la biblioteca ed una per la sua consultazione, che spesso avveniva comodamente a letto sotto le coperte, dopo aver sezionato l’opera in ottave più facili da tenere tra le dita per la lettura. Egli mi prestò gentilmente anche il Dizionario delle opere e degli autori, un’enciclopedia in molti volumi, che mi fu utilissima per la preparazione e mi confidò che una volta era stato prescelto come consulente dagli esperti di «Rischiatutto» per la compilazione dei quesiti di letteratura contemporanea per un concorrente e lui, tra le domande finali da leggere in cabina ne aveva preparata una che riguardava un suo libro vincitore di un importante premio letterario, allo scopo di poterlo pubblicizzare. Il mio sogno, che negli anni sono riuscito a realizzare, di possedere una grande biblioteca, credo che mi sia cominciato, ammirando quella di Compagnone con tanti bei volumi allineati che sembravano grondare cultura per chiunque volesse abbeverarsene. Luigi Compagnone nato a Napoli nel 1915, ha avuto dal primo matrimonio due figli: Sandro giornalista della Rai ed apprezzato critico musicale della «Repubblica» e Massimo, laureato in medicina e psicanalista convinto ed apprezzato. Rimasto vedovo ed immalinconitosi, ha trovato una nuova dolce compagna, Rachele, raffinata pittrice seguace di Otto Dix, Munch e Savinio e valida poetessa, autrice di ben sette libri di poesia. Con la nuova moglie Compagnone rinacque e si buttò con rinnovato entusiasmo nel suo lavoro di scrittore errante sempre tra poesia e romanzo e di opinionista su «Il Mattino» e su «la Repubblica», con articoli su aspetti della realtà napoletana, sempre caustici, disincantati e sul filo di una ironia sottile e beffarda. Il primo importante premio letterario «Il Marzotto» Compagnone lo vinse nel 1954 con il romanzo «La vacanza delle donne». In seguito si è dedicato con passione anche all’attività di traduttore di molti grandi scrittori, tra cui Pejrefitte di cui ha trasferito in italiano tutta l’opera. Egli nell’arco di circa trenta anni ha pubblicato oltre 30 libri ed in una delle sue ultime opere «L’oro nel fuoco» ha inteso realizzare una onesta summa del suo itinerario attraverso tutte le possibili vie che conducono dal drammatico al patetico, dal realistico al surreale, dal razionalismo all’assurdo. Tra i suoi lavori più importanti dobbiamo ricordare: «La vita vera di Pinocchio», «Ballata e morte di un capitano del popolo», «Malabolgia», «L’ultimo duello», un’opera in cui Compagnone, in uno stile perfettamente kafkiano, racconta una fiaba allucinante, una metafora ferrigna su Napoli, con al centro un borghese piccolo piccolo; «Nero di luna», un romanzo popolato da ombre e fantasmi ora comici, ora tragici, ora grotteschi, ora divertenti, ora raccapriccianti. In quest’ultimo romanzo vi è come una riaffermazione delle sue scelte letterarie precedenti per cui si può notare un impasto tra lingua e dialetto, tra la visceralità napoletana ed il barocchismo, tra l’intelligenza delle cose e l’intelligenza di essa, tra la mente pura vichiana e l’impurità dei disastri esistenziali, tra la irrazionalità della storia e le sue terribili ragioni. Compagnone nell’arco dei vari anni ha ottenuto con i suoi libri i più prestigiosi premi letterari che si assegnano in Italia. In seguito ha manifestato una sorta di idiosincrasia assoluta verso queste «gare» e con la sua sottile ironia ci ha disegnato un quadro di questi «Certami letterari», mettendo alla berlina tutti i personaggi che nuotano attorno a queste competizioni. Questo disgusto verso tante manovre meschine messe in atto dalle case editrici per favorire i propri scrittori è un segno tangibile della maturità e della saggezza raggiunta con l’età da Compagnone, il quale ci confida che un tempo anche lui ha praticato il medesimo malcostume di petulare preferenze e solo così ha ottenuto tanti premi letterari. Egli nel periodo dell’assegnazione dei grandi premi letterari, dallo Strega al Campiello, dal Viareggio al Bancarella, viene sollecitato in continuazione da smaniosi appelli telefonici da parte degli scrittori partecipanti con un tono del discorso che va dal supplichevole al sottilmente minaccioso, dallo spregiudicato al mollemente ruffianesco. Tali comportamenti che apparentano il costume letterario a quello del mendicante o del magnaccio fanno riaffiorare il vuoto e la miseria morale di questi strani questuanti. Essi pregano, impongono, suggeriscono con impennate sproporzionatamente elevate, escursioni stilistiche e lessicali patetiche e squillanti, liriche o perentorie. Compagnone ha creato un breve e divertente epigramma per descrivere queste incresciose situazioni. Dei premi letterari non invidiar la giostra, che mica è cosa tua: è solo Cosa nostra
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Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Marzo 2009 19:00 |